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Osservando i grandi documentari che, di quando in quando, vengono proposti in televisione, o soffermandosi a sfogliare libri d’immagini sottomarine, spesso si ha l’impressione che l’ambiente marino sia un meraviglioso quadro, un’enorme fotografia nella quale è possibile incontrare, semplicemente immergendovisi, un gran numero di affascinanti e curiose creature dai mille colori, sempre pronte ad attendere che i nostri occhi (e in nostri obiettivi!) curiosi si posino su di loro. In realtà, il Sesto Continente è più simile ad un palcoscenico sul quale si stia svolgendo una meravigliosa rappresentazione, un ininterrotto spettacolo nel quale, senza mai una pausa, innumerevoli attori si avvicendano mettendo in scena la propria, variopinta quotidianità. Tutto questo, in effetti, fa sì che “gli attori”, -o per meglio definirli- gli abitanti del mare, non siano sempre facilmente rintracciabili: a volte perché le loro attività sono legate a particolari orari o condizioni, altre volte perché ci si rivolge ad organismi poco appariscenti o che addirittura preferiscono restare ben nascosti ed al riparo dai pericoli. E allora come è possibile riuscire a riprendere tutte quelle meravigliose e strane creature che popolano i mari? Come è possibile essere sempre al posto giusto, nel momento giusto? E come si riesce ad avvicinare i pesci tanto da riprenderne gli occhi e i mantelli? O ancora, come è possibile rintracciare e riconoscere gli anfratti in cui gli abitanti del mare più “timidi” sono soliti trascorrere le loro giornate o nascondersi dai predatori? Tutte domande interessanti, e importanti, la cui risposta risiede in un concetto a cui già si fa riferimento nell’approfondimento “Parlando di Fotografia”: in due parole, Biologia Marina! Non voglio dilungarmi in una lunga lezione su quali siano i metodi o gli approcci da utilizzare per avvicinarsi allo studio di questa disciplina, o quali siano state le modalità con cui io mi sono addentrato nel mondo di questa affascinante scienza, voglio semplicemente fornirvi qualche esempio pratico, così che si possa comprendere l’importanza di scendere sotto la superficie del mare consapevoli e preparati. Veniamo dunque a scoprire, tramite alcuni esempi, come ed in che misura la conoscenza specifica del mare, dei suoi abitanti e delle loro abitudini, possa aiutarci ad incontrare e ritrarre l’affascinante popolo del blu. Cominciamo immaginando di pinneggiare lungo una colorata parete, ricca di vita e di variopinti coralli dalle innumerevoli forme differenti. Ci troviamo ad una profondità assolutamente accessibile, diciamo entro i 20mt; ad un tratto notiamo una distesa di alcionari colorati di un rosa piuttosto scialbo e opaco: così spenti e apparentemente fuori posto, tra tutto il colore che li circonda, difficilmente stimoleranno la nostra curiosità. Ebbene, pur naturalmente portati ad ignorarli, faremmo bene a soffermarci a “dare un’occhiata” tra le fronde di questo corallo soffice, in quanto si tratta di uno degli habitat prediletti del bellissimo Bristletail filefish (acreichthys tomentosus) , che spesso trova riparo nell’intricato intreccio formato dai “rami” di questo appartenente alla famiglia lithophytum, sfuggendo così tanto ai predatori, tanto agli occhi ed agli obiettivi dei sommozzatori!
Con questo primo esempio, abbiamo toccato due punti particolarmente importanti dello studio della biologia, il primo riguarda l’habitat degli organismi, ovvero le profondità ed i substrati su cui pesci, gamberi, invertebrati, (…), sono soliti presentarsi, da cui l’importanza di imparare ad osservare tutto ciò che ci circonda sott’acqua, in modo da individuare facilmente quali siano gli spot favorevoli all’avvistamento degli organismi che stiamo cercando. Il secondo importante punto che abbiamo toccato è sicuramente uno dei leitmotiv dell’ambiente marino: il mimetismo. In effetti il pesce lima di cui abbiamo parlato, cerca habitat in cui sia facile per lui passare inosservato, adattando peraltro il colore del proprio mantello al substrato su cui si trova. Ho fatto riferimento al mimetismo come ad uno dei leitmotiv della biologia marina ed, in effetti, molti animali utilizzano questo sistema per difendersi dai predatori (o per risultare invisibili alle prede!). Vediamo allora un altro esempio di come questa innata capacità degli animali possa riservare piacevoli sorprese ai sommozzatori ed ai fotografi che ne abbiano compreso appieno l’importanza ed i meccanismi. Torniamo a pinneggiare lungo la colorata parete dell’esempio precedente. Incontriamo ad un certo punto una grossa madrepora, attorniata da alcune spugne di un colore tra il rosso e il bruno, sormontata da alcuni coloratissimi Crinoidi, organismi affascinanti, dall’aspetto simile a quello di un fiore che con delicatezza muove i petali seguendo il flusso della corrente; appartenenti alla famiglia delle stelle marine, sono in effetti molto simili ad esse per conformazione, differenziandosi, in particolare, per la mancanza di rigidità delle braccia. La curiosità e la meraviglia che scaturiscono dalla vista di questi animali, portano naturalmente a guardare più da vicino, dove è facile, almeno per un occhio attento e ben allenato, incontrare galatee, gamberi e piccoli gobidi che, assumendo una colorazione simile a quella del crinoide in cui si sono stabiliti, spesso danno origine ad un altro importante leitmotiv della vita sottomarina, ovvero la simbiosi (di cui parleremo più avanti). Dopo aver attentamente “sbirciato” vicino al nucleo centrale del crinoide e, con un po’ di fortuna, aver avvistato uno degli animali sopracitati, è importante allargare la propria prospettiva in quanto, spesso, tra le ondeggianti braccia dei crinoidi, soprattutto tra quelle più lunghe e lontane dal nucleo, trovano riparo, perfettamente mimetizzati, i pesci fantasma. Ecco dunque che, con le adeguate conoscenze che permettono di riconoscere un habitat, unite alla consapevolezza della capacità mimetica dell’animale che si sta cercando, laddove non avremmo mai cercato, riusciamo a scovare un Solenostomus paradoxus che, seguendo l’andamento delle lunghe braccia del crinoide, fa capolino tra i colori, osservando il mondo circostante senza dare troppo nell’occhio.
Abbiamo finora parlato molto di substrati, ma senza dubbio in maniera incompleta. Abbiamo considerato alcionari, madrepore, gorgonie, spugne, (…), semplicemente come “punti di riferimento” per individuare gli abitanti del mare, ma non dimentichiamo che, in ogni buona fotografia, uno sfondo accattivante gioca un ruolo fondamentale. Nuovamente la conoscenza degli organismi (quindi anche dei coralli) ci giunge in aiuto. Prendiamo ad esempio un gobide che si trovi alla base di una gorgonia. Volendo fotografarlo, avremmo un pesce molto bello e molto curioso, posizionato su di un substrato piuttosto liscio e piatto, per certi aspetti esteticamente meno accattivante rispetto ad un alcionario, ad un corallo a frusta od una madrepora. Trovandosi però in una situazione in cui sia presente una buona dose di corrente, i polipi della gorgonia saranno aperti, rendendo il substrato decisamente più interessante, permettendoci così di assistere ad uno scenario incredibilmente bello.
Ovviamente sarebbe impensabile aspettarsi che il gobide resti a nostra disposizione, in attesa dell’arrivo della corrente, certamente però possiamo tenere conto del fatto che, in presenza di questa, i polipi del corallo si aprono per nutrirsi, sia per realizzare foto d’ambiente in cui i polipi siano appunto aperti, sia per utilizzare questi magnifici sfondi per fotografie macro: se è vero che il pesciolino in questione non rimarrà ad attenderci, è altrettanto vero che, riconosciuto un determinato habitat, abbiamo valide possibilità di incontrarvi altri suoi simili e riuscire così a realizzare l’immagine che avevamo prefigurato! Cambiamo ora ambiente e spostiamoci sulla sabbia. Stiamo effettuando una cosiddetta Muck Dive su di un bassofondo sabbioso. In questa situazione torna a presentarsi la grande capacità mimetica degli animali e ci troviamo costantemente a doverci confrontare con quella che si presenta come una bianco-grigiastra distesa di nulla. In realtà, questo tappeto monocromatico, nasconde una moltitudine di animali e organismi, generalmente (ma non sempre) di dimensioni limitate, dotati di una grandiosa capacità di mimetizzazione. Procedendo con occhio esperto e consapevole (ben attenti a muovere le pinne solo il minimo indispensabile e mantenendole rialzate rispetto al resto del corpo, così da non sollevare sabbia e sedimenti), individuiamo diversi gamberi, alcuni stadi giovanili di pesci più grandi e anche un buon numero di “critters” (dall'inglese "creatures", si tratta di un termine utilizzato per far riferimento all'intera gamma di animali tanto rari, quanto particolari, che spesso risultano essere tra i soggetti preferiti dai fotosub in ambito macro); tra questi, incontriamo un bellissimo esemplare di Pesce Pegaso (Eurypegasus draconis). Come spesso accade quando si tratta di critters, non è insolito che alcune persone si domandino come si possa definire “bellissimo” un animale così “strano” e poco colorato. Ancora una volta la biologia ci viene incontro, sia per risolvere questo quesito, sia per permetterci di vedere una nuova meraviglia della natura: come un bellissimo fiore di loto che nasce dal fango, similmente il pesce pegaso, aprendo le proprie pinne laterali, molto simili ad ali, scopre una stupenda colorazione sui toni del viola, sfumato dalla trasparenza delle “ali”!
Abbiamo visto alcuni interessanti esempi di come lo studio e la conoscenza approfondita del mare e dei suoi abitanti possano aiutarci, ma fino a questo momento siamo rimasti su di un “terreno fertile”, ovvero ci siamo rifatti a situazioni in cui ci si trovi ad immergersi in posti notoriamente popolati da interessanti “personaggi”. Sappiamo bene, purtroppo, che non tutte le immersioni sono così: a volte ci si trova a doversi immergere su siti scarsamente popolati, nei quali sembra di non poter far altro che godersi la sensazione di stare sott’acqua; anche in questo caso, la biologia può darci un grosso aiuto. Per capire come, ho deciso di raccontarvi qualcosa realmente accaduto qualche anno fa. Ci trovavamo in Arabia Saudita. Dopo due meravigliose immersioni mattutine, il mare ha cominciato a montare ed il tempo è sensibilmente peggiorato. Abbiamo cercato un luogo ridossato, dove poter ormeggiare senza preoccupazioni, sia per effettuare la terza immersione della giornata, sia per poter trascorrere una nottata tranquilla. Purtroppo, l’unico sito rispondente a queste caratteristiche, che fosse sufficientemente vicino da permetterci di approdarvi prima che un ulteriore peggioramento del mare rendesse difficoltosi gli spostamenti, si presentava come un bassofondo lagunare con scarso ricircolo d’acqua. Nonostante le premesse non fossero delle migliori decidemmo di immergerci ugualmente e, proprio come ci aspettavamo, il fondale si rivelò essere un basso dedalo di rocce e corallo morto, spennellato solo da qualche piccola alga e decisamente privo di ogni attrattiva. Salvo un fortuito incontro con un pesce coccodrillo, sembrava davvero che difficilmente avremmo trovato qualcosa di interessante. Ad un tratto, quasi decisi a riportarci verso la barca, abbiamo individuato una serie di spiazzi sabbiosi tra le rocce, dalla conformazione piuttosto particolare e con la presenza di alcune piccole dune che hanno attirato la nostra attenzione. Viste dalla nostra posizione sembravano, in effetti, nulla più che vuoti spiazzi di sabbia, ma la posizione e la struttura delle piccole dune lasciava pochi dubbi: eravamo certi che avremmo trovato una piccola colonia di ghiozzi. Non sapevamo quali potessero essere, ma senza dubbio sarebbero stati accompagnati dalla consueta coppia di gamberi (ecco spuntare nuovamente la simbiosi, in questo caso tra un ghiozzo che si occupa di garantire l’incolumità di due gamberi, avvertendoli di eventuali pericoli, mentre questi mantengono stabile e pulita la tana comune). Giunti in prossimità degli spiazzi con qualche veloce pinneggiata, non solo abbiamo trovato esattamente ciò che ci aspettavamo ma, con nostra grande meraviglia, ci siamo trovati davanti ad una colonia di ghiozzi coloratissimi e di ragguardevoli dimensioni del tipo Cryptocentrus coeruleopunctatus.
A questo proposito, apro una piccola parentesi. Ho accennato a come molti animali rispettino abitudini e orari ben definiti. Nel caso sopradescritto, siamo capitati nei pressi di questa piccola colonia, esattamente durante l’orario migliore per osservare le attività di questo insolito team; se fossimo arrivati sul posto ad un orario differente, avremmo certamente trovato i ghiozzi, ma difficilmente saremmo riusciti ad osservare un’intensa attività da parte dei gamberi, in quanto, il momento migliore per trovare i questi animali ben esposti ed i gamberi nel pieno del loro lavoro è collocato circa nella seconda metà del pomeriggio, prima che il crepuscolo cominci a tingere le luci di rosso.
Siamo giunti alla fine. Abbiamo visto come la conoscenza degli animali, delle loro abitudini e dei loro habitat può esserci utile in ogni occasione; si potrebbe continuare all’infinito con gli esempi, alcuni frutto dello studio della biologia sui libri, altri frutto dello studio sul campo, dell’esperienza e dell’osservazione personale e..anche di qualche “buco nell’acqua”!!! Il consiglio è quello di tenere sempre gli occhi ben aperti, e non aver mai la pretesa di vedere tutto, altrimenti si rischia di non vedere nulla! Chiudo con un ultimo, breve spunto: abbiamo parlato per lo più di macrofotografia, ma attenzione perché la biologia ci viene in aiuto in ogni situazione e, ad esempio, sapere che i grandi pesci pelagici sono attratti ed incuriositi (pur se inquietati a volte) dal rumore delle bolle e dalla presenza umana (soprattutto se supportata da emozioni di calma e serenità), fa si che, muovendosi lungo una parete rivolta verso il mare aperto, si dia ogni tanto un’occhiata nel blu alle proprie spalle. A volte non succede nulla, altre volte invece…
Alessandro Ziraldo
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